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VOGHERA 06/10/2016: Agricoltura. Strappo dei Molini di Voghera. Non invitano le associazione di categoria all’incontro annuale di Rivanazzano. “Assurdo dire agli agricoltori di non seminare più il grano”. Intervista all’Ad Davide Rezzoli

Ottobre 06
11:17 2016

VOGHERA – “Non semineremo più il grano”. Dopo aver letto un manifesto che riportava a caratteri cubitali questa frase (firmata da Cia e Confagricoltura), i Molini di Voghera hanno deciso di non invitare alcuna associazione di categoria alla tradizionale serata a Rivanazzano destinata a per fare il punto con gli agricoltori sull’attività dello stabilimento vogherese e sulle forniture di materia prima da parte dei produttori di grano.

Uno strappo quello dei Molini, che s’inserisce nella profonda crisi (mondiale) che sta colpendo il settore cerealicolo, ma che sembra derivare anche da una generale, pregressa, incomunicabilità fra il mondo della trasformazione del grano e quello della rappresentanza di categoria (tutta, non solo quella artefice del manifesto ultimatum).

La polemica come dice l’Amministratore delegato Davide Rezzoli e molto “Secca” ma “Non vuole essere distruttiva”.

Vi proponiamo l’intervista in cui i Molini illustrano le motivazioni dell’esclusione e  lanciano delle proposte.  

Dunque Rezzoli, un forte strappo con le associazioni. Perchè?

“Perché ci sembra assurdo che un’associazione di categoria inviti i suoi associati a non seminare il grano. Teniamo pure conto del fatto che stiamo attraversando un momento di crisi profonda dell’agricoltura e soprattutto della cerealicoltura. Teniamo pure presente il prezzo del cereale che quest’anno è particolarmente basso per motivi che comunque esulano dalla nostra volontà. Teniamo presente tutto. Ma non si può dire alla gente, in un conteso come il nostro: non seminate più il grano perchè il prezzo è troppo basso”.

Il prezzo basso non è una motivazione sufficiente?

“E’ come colui che per risolvere il problema mette la testa sotto la sabbia. E’ una non soluzione del problema. Tanto più che deriva da organizzazioni che nel corso dell’anno non hanno fatto nulla per cercare di coagulare le produzioni nazionali, per promuovere il grano… per fare in modo che la massa critica degli agricoltori fornisse all’industria della trasformazione le quantità e le qualità di grano che oggi gli servono. Faccio un altro ragionamento – prosegue Rezzoli -. Il prezzo dei concimi continua ad aumentare. Cosa facciamo allora? Diciamo agli agricoltori: non concimate più? Certamente no, perchè sarebbe un’assurdità. Eppure adesso c’è chi, a fronte di certe condizioni e di certe difficoltà dice: non seminate più il grano. Un atteggiamento populista tenuto forse per dimostrare di aver fatto qualcosa”.

Un messaggio sbagliato da vostro punto di vista. Può spiegare meglio il perchè?

“Noi viviamo un frazionamento degli agricoltori incredibile. Abbiamo un contesto con piccolissimi appezzamenti. Tantissimi micro produttori che seminano ognuno quello che più gli viene bene in quel momento. E abbiamo i dopolavoristi, che hanno il terreno perchè glielo ha lasciato i genitori. Così come abbiamo un’industria sementiera che, anche lei, probabilmente fa fatica a capire e a recepire le esigenze di questo microcosmo di persone che continua a cambiare idea, che sembra non avere punti di riferimento.”

Che fare allora?

“E’ guardando a questo contesto che occorre agire. Un contesto in cui servirebbe una guida. Qualcuno che programmasse insieme agli agricoltori ciò che devono seminare… e non che dicesse solo ‘non seminate’. Qualcuno che dicesse: compriamolo insieme la semente; facciamo massa critica; seminiamo tutti insieme la stessa cosa… facciamo accordi con le industrie a valle. Cose che le associazioni di categoria, tutte, non hanno mai fatto. Bisognerebbe invece che le medesime si facessero carico di radunare, di convogliare, di consigliare i coltivatori… di dare un servizio tecnico che spingesse l’agricoltore a fare certe scelte, a fare scelte certe.”

Scelte decise e concordate con voi, con il Molini che stanno perseguendo il progetto Farina Oltrepo?

“Noi stiamo portando avanti una battaglia per valorizzare una produzione che a sua volta valorizzi i prodotti che derivano da questa produzione. E lo facciamo con fatica, perchè non è facile fare un discorso del genere. Nonostante ciò, in questo momento storico, come dicevo l’altra sera a Rivanazzano, abbiamo la fortuna che il consumatore finale ha la curiosità e l’esigenza di conoscere l’origine di ciò che consuma. Cosa noi siamo in grado di dare. Noi siamo in grado di dire a quel consumatore: guarda che il grano, da quel campo conosciuto per nome e cognome è arrivato, senza altri passaggi, nel nostro silo e una volta macinato è andato al produttore finale.”

Per fare questo però vi serve materia prima di qualità, come avete spiegato a Rivanazzano.

“L’Italia è assolutamente non auto sufficiente per ciò che riguarda il grano tenero e forse ancora di più per il grano duro. Strutturalmente non possiamo competere con la massa di materia prima in arrivo con i treni dalla Francia o dalla Cecoslovacchia, che serve per le grandi industrie e che viene venduta pure se ha delle problematiche.

Ciò che però possiamo fare è competere facendo produzioni che francesi, cecoslovacchi e altri non sono in grado di fare. Produzioni di qualità, tracciate, fatte con grano di prima scelta.”

Più nel concreto, cosa dovrebbero fare allora le associazioni di categoria?

“Andare dai Molini di Voghera, dal Molino Certosa, dal Molino Pagani… nostro concorrente ma non importa, e dire: mettiamoci insieme, facciamo un bacino in cui tutti coltiviamo grano con le stesse caratteristiche per fare produzioni di qualità. Questo secondo noi sarebbe la risposta, dire: in un momento di crisi dobbiamo cercare di valorizzare la produzione, facendo accordi, mettendo a disposizione la nostra disponibilità, il nostro servizio tecnico agli agricoltori. Insomma, dovrebbero fare quello che stiamo facendo noi Molini, da privati. Invece oggi dicono solo: non seminiamo. Va bene e poi?”

Già e poi… quali sarebbero le alternative, ci sono alternative?

“Ah non lo so, ce lo deve dire chi fa queste proposte. Il coriandolo? Che lascia odore nel terreno per 3 anni e crea tutta una serie di problematiche legate ai residui… e che oltretutto, per ciò che ci risulta, giace invenduto?

La biomassa per l’impianto di Casei Gerola? Il cui progetto a quanto mi risulta è ancora nelle nebbie e, come ho sempre detto, è troppo ambizioso e non realistico per la nostra agricoltura… senza contare le ricadute sull’ambiente che qualcuno paventa?”

Molti adesso stanno guardando al Biologico. Non potrebbe essere un’alternativa?

“Il biologico non deve essere visto come una scelta puramente economica per la Produzione lorda vendibile dell’azienda. Deve essere visto come una filosofia in cui uno crede. Perchè se tu lo fai solo per avere l’incentivo più alto – a parte che passano 3-4 anni prima che ti danno il contributo – non lo porti avanti. Perchè quando cominci a vedere l’erbaccia attorno all’azienda la voglia di fare il trattamento ti viene. Ma così si rischia di far finire tutto in una grande presa in giro… di noi stessi e dei consumatori, col rischio oltretutto di distruggere un intero comparto di qualità che si basa sulla fiducia verso il produttore. E poiché sappiamo che la maggioranza degli agricoltori si sta approcciando in questo modo al biologico, per pura disperazione, ci chiediamo se non abbiano bisogno di avare vicino qualcuno che li segua e li indirizzi.”

Dunque tutte queste non sono soluzioni?

“A noi non sembrano soluzioni. Non sembrano alternative: noi non abbiamo l’irrigazione; non abbiamo possibilità di fare altre colture. Per noi la cerealicoltura è la base. Dai campi dell’Oltrepo pavese e delle zone limitrofe piemontesi escono grani che vanno in tutti i mulini dell’altitalia: usati un po’ come correttori e stabilizzatori della qualità. E’ un realtà che si conosce, eppure non facciamo nulla per tutelarla.”

E quindi. In conclusione?

“Quindi la nostra polemica è questa. Quando abbiamo visto la foto che ci hanno mandato del manifesto affisso in un bar dell’alessandrino… ma che sta girando sugli smartphone di molti agricoltori dell’Oltrepo pavese, in cui si leggeva “Non seminiamo più i grano” e sotto c’erano le firme di due associazioni di categoria… Quando lo abbiamo visto abbiamo detto: No. Non si può stare zitti! Sappiamo che la nostra è una polemica secca. Ma non vuole essere distruttiva. Siamo disponibili a fare un confronto, anche nel bar in cui c’era quel manifesto. Parliamone. Parliamo del motivo per cui il grano viene pagato poco. Parliamo del frazionamento delle partite. Parliamo del fatto che quando un agricoltore ha 100 tonnellate di grano sembra che abbia una partita immensa … mentre rappresenta è il lavoro di 24 ore del nostro mulino. Parliamone ma per favore non diciamo agli agricoltori di non seminare più il grano.”

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