BRONI 25/07/2015: Il vino oltrepadano come l’acciaio pugliese: la legittima attività della magistratura rischia di bloccare un intero settore economico. Sul paradosso il Consorzio Vini interviene e dice: “Indagate ma lasciate lavorare la cantina Terre d’Oltrepò”.
BRONI – Il vino oltrepadano un po’ come l’acciaio pugliese. L’Iva di Taranto un po’ come la maxi cantina sociale bronese Terre d’Oltrepò.
Il paragone può sembrare azzardato ma, a parte un punto (certamente fondamentale ) che differenzia i due casi –in quello oltrepadano non c’è rischio per la salute dei cittadini ma una presunta frode sulla qualità del vino – la questione di fondo è la stessa.
Insomma, ci troviamo di fronte ad un’inchiesta della magistratura che per fare il suo legittimo e benemerito lavoro rischia di bloccare e affossare un intero settore economico.
Un rischio che l’Oltrepo non può permettersi di correre.
Nasce da qui la presa di posizione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Il cui presidente, Michele Rossetti, parte da una premessa chiara e netta:
“Il lavoro dei magistrati si rispetta e non si discute mai, neppure nei frangenti più dolorosi per un territorio”.
Detto questo però il presidente dà sfogo alle preoccupazioni della filiera.
“Terre d’Oltrepò, prima cooperativa vitivinicola di Lombardia, significa 900 soci, 50 dipendenti, 500mila quintali d’uva pigiati ogni vendemmia e 43 milioni di euro di fatturato. Il polo cooperativo, nato dalla fusione delle storiche cantine sociali di Broni e Casteggio, fra le più antiche d’Italia, vinifica oggi il 50% delle uve dell’intero Oltrepò Pavese”.
“Non esiste sul territorio – evidenzia Rossetti – un’altra azienda con il medesimo potenziale ed attrezzature idonee a vinificare una tale massa di prodotto”.
Il fattore tempo è quindi cruciale.
“L’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto la cantina e portato al sequestro di tutto il vino stoccato nelle unità produttive di Broni e Casteggio – dice Rossetti – pone a rischio la sopravvivenza stessa del comparto vitivinicolo dell’Oltrepò Pavese e, a poche settimane dall’inizio della vendemmia, rischia di mettere in ginocchio larga parte degli agricoltori della filiera, le relative famiglie e la rete dell’indotto”.
Ma ci sono anche preoccupazioni sul fronte dell’economia.
“C’è da considerare – rileva Rossetti – il danno sotto il profilo commerciale e dell’immagine: il non poter rispettare i contratti di fornitura con i grandi clienti-imbottigliatori di Terre d’Oltrepò, tra i quali marchi molto noti, rischia di produrre un danno di proporzioni incommensurabili presso le più grandi catene distributive nazionali ed estere, deprezzando così l’immagine del vino italiano nel mondo e provocando una crisi reputazionale irreparabile al primo territorio viticolo di Lombardia”.
Il Consorzio esprime quindi un messaggio chiaro.
“Ridare piena operatività alla Cantina Terre d’Oltrepò, fermo restando il rispetto dell’inchiesta, vorrà dire non condannare vecchie e giovani generazioni incolpevoli, che hanno investito tanto e che nella produzione dell’uva e del vino trovano la loro unica ed insostituibile fonte di sostentamento”.
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