VOGHERA 11/06/2021: Scomparsa di don Piero Montecucco. La sua testimonianza sulla strage nazifascista della Benedicta
VOGHERA – La sezione dell’Anpi di Voghera esprime cordoglio e commozione per la scomparsa di don Piero Montecucco e lo ricorda con un testo che il religioso, iscritto all’associazione, aveva consegnato diversi anni fa all’attuale presidente Antonio Corbeletti. Un testo sulla sua presenza, allora bambino, ai funerali delle vittime della strage nazifascista della Benedicta. Testimonianza pubblicata sulla rivista “Patria indipendente” nel 2005.
“La mia memoria di sessant’anni fa è legata a un funerale. Sono grato a mio padre per avermici accompagnato. Le quindici bare erano allineate lungo i due lati della piazza del Mercato. Ciascuna di esse era attorniata dai genitori e dai parenti, che hanno potuto accogliere le salme dei giovani solo un anno dopo che erano stati trucidati dai tedeschi alla Benedicta nella notte del 7 aprile 1944. Nell’inverno 1943 – 1944 intorno al Monte Tobbio, nell’appennino ligure piemontese, si erano rifugiati i primi nuclei di giovani renitenti alla leva e partigiani, che rifiutavano di continuare la guerra e iniziavano il loro percorso di opposizione al fascismo. Nella primavera 1944 i giovani affluiti in montagna erano ormai diverse centinaia e facevano capo alla Benedicta, un cascinale annesso ad un convento benedettino medioevale. Anche se molti di questi giovani erano male armati e privi di istruzione militare, la loro presenza rappresentava un pericolo potenziale per tedeschi e fascisti, che decisero di organizzare un rastrellamento, allo scopo di sgominare le bande e di creare il terrore nella popolazione civile.
Il 7 aprile 1944 ingenti forze nazifasciste circondarono la Benedicta e le altre cascine dove erano dislocati i partigiani e colpirono duramente i giovani, impossibilitati a difendersi per mancanza di un adeguato armamento e di esperienza militare. Il rastrellamento proseguì per tutto il giorno e nella notte successiva. Molti partigiani, conoscendo il territorio, riuscirono a filtrare tra le maglie del rastrellamento, ma per centinaia di loro compagni non ci fu scampo. In diverse fasi i nazifascismi fucilarono 147 partigiani, altri caddero in combattimento, altri, fatti prigionieri, furono poi fucilati il 19 maggio al passo del Turchino. Altri 400 partigiani furono catturati e deportati in Germania, dove circa la metà lasciarono la vita nei campi di concentramento.
Come si può facilmente immaginare, la notizia di questo eccidio si diffuse rapidamente e suscitò una grandissima impressione nella popolazione di tutta la zona e nei paesi da cui provenivano i giovani partigiani. Anche in una cascina isolata tra le colline, lontano dai paesi, come quella dove io ero nato e abitavo, le notizie della guerra si sapevano e si vivevano con grande trepidazione, anche perché vi erano coinvolti alcuni familiari. E ricordo bene, pur essendo un bambino, come la milizia fascista faceva sentire tutta la sua pressione sulle famiglie dei renitenti alla leva. La guardia comunale veniva da noi ogni due o tre giorni a cercare mio zio Talino. E un giorno arrivarono in gruppo i militi armati di tutto punto, sottoposero mio nonno ad un pesante interrogatorio, salirono sul fienile e lo passarono col tridente, pensando che mio zio fosse nascosto sotto il fieno… L’eccidio della Benedicta non ottenne lo scopo di piegare lo spirito popolare e di fermare il movimento partigiano. Che, anzi, dopo una seria riflessione sugli errori compiuti, riuscì a riprendere vigore e a riorganizzare nuove formazioni di resistenza, che intensificarono le azioni contro i nazifascisti, soprattutto in Val Borbera, dove alle “Strette di Pertuso” un centinaio di partigiani tennero testa per tre giorni, dal 25 al 27 agosto ’44, a 3.000 militari tedeschi e fascisti.
Pochi giorni dopo l’eccidio, alcuni parenti delle vittime salirono alla Benedicta per recuperare le salme dei loro congiunti.
Trovarono più di novanta corpi sotterrati in due fosse comuni…
Li ricomposero nelle bare che avevano portato sui carri, nascoste sotto il fieno, e scavarono una fossa per ciascuno di loro.
Sono rimasti sepolti alla Benedicta fino alla fine della guerra.
“Finita la guerra, un gruppo di parenti e volontari risalirono alla Benedicta per restituire i corpi alle famiglie e ai cimiteri dei paesi.
Li hanno portati a valle nelle nuove casse su delle slitte trainate dai buoi.
Poi con le bare sui camion sono arrivati a Serravalle, alla Porta Genova, dove aspettava la gente, tantissima gente… una fiumana, che ha accompagnato in corteo i Martiri della Benedicta alla piazza del Mercato, dove sono stati vegliati tutta la notte…”
Con la fine della guerra la gente ha tirato un sospiro di sollievo.
Ma in molte case le sofferenze non terminarono…
Molte famiglie si ricomponevano per il ritorno a casa dei congiunti dalla guerra.
Di alcuni di loro non si avevano notizie da molto tempo.
Ma di altri non si ebbero mai più notizie…
Molti, come i ragazzi della Benedicta, ritornarono in una bara…
Ora riposano insieme nella cappella del cimitero costruita per loro.
Ormai non si ricordano più come “i ribelli”, e neanche come “partigiani”, ma al mio paese vengono chiamati “Martiri”, perché sono “Morti nel tramonto della tirannia e Risorti nell’alba della libertà”. Al centro del mio paese c’è una lapide che ammonisce “Non dimenticate i Martiri della Benedicta”.
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