VOGHERA 16/11/2015: Avere paura. Volersi difendere. Ma non poterlo fare perchè lo Stato dice no al porto d’armi. La vicenda di un vogherese alle prese con la burocrazia
VOGHERA – Temere per la propria incolumità, ricevere minacce, avere paura, ma non riuscire a dotarsi di uno strumento valido per la difesa personale e familiare perchè lo Stato te lo nega.
Non lo ha stabilito nessuno che frangenti come questo debbano emergere soltanto dopo che qualcosa di irreparabile è successo. Così come non occorre leggere i giornali nazionali (che riportano fatti lontani) per imbattersi in episodi simili.
E’ infatti vogherese l’uomo che non riesce ad ottenere il porto d’armi perchè lo Stato, nella sostanza, gli dice che non è abbastanza in pericolo.
“Ma chi è che deve decidere se uno è in pericolo – sbotta subito Mario, lo chiameremo così -? Un funzionario statale? Una persona che magari non ha mai subito una minaccia in vita sua e non sa come si viva nella paura? A me pare – aggiunge il vogherese – che a decidere dovrebbe essere solo l’interessato, soprattutto se da tempo vive preoccupato e riceve insulti e minacce sempre più pesanti”.
Il vogherese, pensionato, s’arrabbia in questo modo perchè ha ricevuto il No della Prefettura al porto d’armi per una pistola, regolarmente denunciata, custodita in casa.
Pistola che perciò non può essergli utile in strada, per affrontare eventuali pericoli.
Le paure del signor Mario iniziano circa 5 anni fa, quando il fratello (lo chiameremo Roberto) diventa destinatario di ricorrenti lettere minatorie. Chi le scrive inzeppa le missive d’insulti rivolti all’uomo. Nel tempo però le lettere diventano più aggressive e prendono di mira anche la moglie e il fratello Mario. Le offese crescono d’intensità, fino ad arrivare all’ultima lettera, in cui compaiono anche delle vere e proprie minacce (“vi succederà qualcosa di brutto”).
E’ a questo punto che il signor Mario decide di non restare più immobile e di chiedere il permesso di portare con sé l’arma che già possiede.
“Cosa dovevo aspettare ancora per mettermi nelle condizioni di difendere in modo efficace me stesso, la mia famiglia e anche quella di mio fratello… che non saprebbe far male nemmeno ad una mosca?” Si chiede il signor Mario.
A preoccupazione si aggiunge preoccupazione.
“Abbiamo più volte analizzato la situazione – precisa il vogherese – ma non abbiamo trovato nulla che potesse giustificare un odio simile, reiterato così a lungo nel tempo, nei nostri confronti. Per questo non ci resta che pensare ad un folle… così però tutto diventa più imprevedibile e pericoloso”.
A destare le perplessità del signor Mario sono anche le procedure burocratiche per la richiesta fatta allo Stato e le motivazioni del diniego.
La richiesta del porto d’armi il pensionato la inoltra il 15 di giugno di quest’anno. Una prima comunicazione, sull’apertura del fascicolo, la Prefettura gliela invia il 26 dello stesso mese, in cui però gli dice che il procedimento verrà definito entro 120 giorni. Mentre la risposta arriva con una raccomandata del 25 di agosto.
“Comprendo che gli uffici abbiano da fare – nota il pensionato – ma per temi così delicati, quando ci può essere di mezzo l’incolumità delle persone, come si può far attendere un cittadino 120 giorni, o 2 mesi come è capitato a me…? in quei mesi potrebbe accadere di tutto”.
Quanto alle motivazioni del diniego (“Non risulta adeguatamente dimostrata la necessità di portare l’arma”) il signor Mario resta perplesso e amareggiato.
“Che cosa significa quella risposta”? si chiede ancora.
“Cosa deve accadere, stante le minacce ricevute, perchè in Italia si abbia il diritto a mettersi nelle condizioni di difendersi in maniera efficace?”
“Deve succedermi effettivamente qualcosa di brutto prima che venga rilasciato un porto d’armi?”.
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